IL PRETORE
    Sciogliendo la  riserva  adottata  nell'udienza  23  maggio  1995,
 pronuncia la seguente ordinanza.
                                 FATTO
    Nella  causa iscritta al n. 4329/1992 r.g., promossa da Piffaretti
 Armando nei confronti di  Preti  Roberto  e  del  condominio  di  via
 Bolzano  29/a,  avente  per oggetto il pagamento di un corrispettivo,
 all'udienza del 23 maggio 1995 (fissata - con ordinanza 27  settembre
 1994  -  per la discussione e l'assegnazione della causa a sentenza),
 si e' verificata la seguente situazione:
      il dott. proc. G. Canegallo, sostituto (peraltro privo di delega
 scritta) dell'avv. Perone, difensore dell'attore,  ha  dichiarato  di
 astenersi    (dalla    trattazione    dell'udienza)    in    adesione
 "all'agitazione come proclamata dal CNF";
      l'avv.  G.  Magnocavallo,  difensore  del  convenuto  Preti,  ha
 dichiarato  di  non  aderire  all'astensione  forense,  e tuttavia ha
 chiesto un rinvio "per spirito di colleganza";
      non  era  presente  l'avv.  Cerri,   difensore   del   convenuto
 condominio,  il  quale  nondimeno  aveva  gia'  depositato il proprio
 fascicolo di parte.
    Il pretore, indipendentemente da ogni valutazione di  legittimita'
 ed efficacia della dichiarata astensione del procuratore dell'attore,
 ha  comunque  ritenuto  la  prevalenza  (rispetto  al mero diritto di
 liberta'  del  procuratore  astensionista)  del  diritto  (consacrato
 nell'art.  24 della Costituzione) della parte, il cui procuratore non
 si astenga dall'udienza, ad ottenere la pronuncia di  merito;  ed  ha
 ritenuto  percio' inaccoglibile la istanza di rinvio svolta dall'avv.
 Magnocavallo,  non  astenutosi.  Necessariamente,  dunque,  essendosi
 rigettata  la  richiesta  di differimento della discussione, e' stato
 disposto che si procedesse  alla  discussione  e  all'assegnazione  a
 sentenza.
    Eppero',  malgrado  espresso  invito,  i  procuratori presenti non
 procedevano al rideposito dei rispettivi  fascicoli;  in  particolare
 non  vi  provvedeva l'avv. Magnocavallo, ancorche' egli ne ostentasse
 il possesso attuale.
                                DIRITTO
    In conseguenza della situazione sopra  sintetizzata,  il  pretore,
 trattenuta  la  causa  per la sentenza, dovrebbe deciderla unicamente
 sulla scorta degli atti presenti nel fascicolo,  dunque  in  mancanza
 sia  del  fascicolo dell'attore Piffaretti, sia in mancanza di quello
 del convenuto Preti.
    Va pero' osservato quanto segue.
    E' del tutto legittima la libera scelta del procuratore del  Preti
 di  non  depositare  il  proprio  fascicolo,  posto  che  nel vigente
 ordinamento (artt. 169, 115 c.p.c., e 111  disp.  att.  c.p.c.)  ogni
 parte  e'  libera  di omettere la restituzione dei documenti, nonche'
 dello stesso proprio fascicolo,  prima  dell'udienza  di  discussione
 (Cass.  I, 5 dicembre 1994, n. 12.947), esponendosi cosi' liberamente
 alle conseguenze circa la valutazione delle  prove  raccolte  (e  non
 fornite),  in quanto nessun legittimo impedimento risulta ravvisabile
 rispetto alla omissione del procuratore del convenuto Preti. In altri
 termini, cio' comporta soltanto la conseguenza che, dei documenti  ed
 atti  del Preti, dei quali non esista copia nel fascicolo di ufficio,
 non si potra' tenere conto alcuno.  Si pone pero' il problema se, per
 converso, vi sia o no la possibilita'  di  decidere  la  causa  senza
 consentire   alla   parte,   il   cui  procuratore  si  era  astenuto
 dall'attivita' di udienza (che' a cio' solo risulta  circoscritta  la
 forma  di  protesta  attuata  dagli  avvocati  in  questo periodo) di
 depositare il proprio fascicolo.   Per vero,  tale  dubbio  andrebbe,
 allo   stato   della   legislazione,  risolto  in  senso  negativo  e
 sfavorevole alla parte attrice, in  quanto  nel  vigente  ordinamento
 processuale  non  e'  consentito  al  giudice, in sede di discussione
 della causa, di autorizzare  il  successivo  deposito  degli  atti  e
 fascicoli  di  parte  in  un termine fissato allo scopo (Cass. II, 28
 gennaio 1971, n. 791).    Neppure  poteva  disporsi,  del  resto,  in
 presenza  di un procuratore non astensionista, il rinvio dell'udienza
 di discussione ai sensi dell'art. 115 disp. att.  c.p.c.,  posto  che
 non  si reputa possibile di qualificare come grave impedimento quello
 opposto dalle parti presenti alla discussione  e  all'assegnazione  a
 sentenza.    In  ordine alla protesta, infatti, vale svolgere qualche
 ulteriore considerazione.   Anzitutto,  va  chiarito  che,  ancorche'
 variamente  definita  dagli  stessi interessati, la manifestazione di
 protesta in questo periodo attuata dagli avvocati e  procuratori  non
 pare  potersi  far  rientrare  nella  nozione  di  sciopero, sia pure
 latamente accolta.  E' pur vero che taluno ha ritenuto  di  invocare,
 in  favore  della  riconducibilita'  della protesta in corso a quella
 nozione,  la  pronuncia  (8-17  luglio  1975,  n.  222)  della  Corte
 costituzionale,  sebbene  resa in una particolarissima fattispecie, e
 per giunta ai soli fini penalistici. In tale risalente pronuncia,  la
 Corte,  in  relazione  ad  una manifestazione di protesta da parte di
 esercenti  di  piccole  aziende  industriali  o  commerciali,   aveva
 affermato  la illegittimita' costituzionale dell'art. 506 c.p., dando
 al contempo una nozione ampia di sciopero, nella quale appunto  poter
 sussumere  anche  la  sospensione  del  lavoro realizzata dai piccoli
 esercenti, privi di dipendenti.  In contrario si deve peraltro notare
 che,  da  ultimo,  proprio  la  stessa  Corte  costituzionale,  colla
 sentenza  23-31  marzo  1994,  n.  114,  ha  definito piu' volte come
 "manifestazioni di protesta", "forme di protesta collettiva  che,  al
 pari  dello sciopero (da cui pertanto vanno necessariamente distinte,
 N.d.E.)  sono in grado di impedire il pieno esercizio di funzioni che
 assumono,  come   quella   giurisdizionale,   un   risalto   primario
 nell'ordinamento dello Stato" le astensioni dall'attivita' di udienza
 poste  in  essere dai difensori, univocamente quindi escludendo dalla
 nozione, per quanto ampia, di sciopero, la manifestazione di  cui  si
 tratta.    Del  resto,  reputa  il  pretore  che  sia particolarmente
 puntuale e condivisibile la ricostruzione operata,  sulla  questione,
 da   Cass.   II,  15  settembre  1965,  n.  2009,  laddove  cosi'  si
 argomentava:  "E' universalmente ammesso, invero, che il  diritto  di
 sciopero  riconosciuto dall'art. 40 della Costituzione e' un istituto
 esclusivamente proprio del rapporto di lavoro subordinato, e  non  ha
 alcuna  possibilita' di applicazione nel campo del lavoro autonomo in
 generale, e delle professioni intellettuali in particolare.   I  c.d.
 scioperi  dei liberi professionisti non costituiscono punto esercizio
 del diritto di cui all'art. 40 della Costituzione, che non compete ai
 liberi professionisti, ma costituiscono  mere  astensioni  collettive
 dell'attivita'  professionale,  compiute,  per  il  conseguimento  di
 determinati  scopi  collettivi,  nell'esercizio   del   diritto   (di
 liberta') che ha ogni cittadino di astenersi da determinate attivita'
 cui  egli  non  sia  tenuto  per  legge.    Se  cosi'  e', il mancato
 compimento di  una  determinata  attivita'  professionale,  anche  se
 cagionato  da un c.d. sciopero di liberi professionisti, non puo' non
 produrre  gli  effetti  che  ad  esso  sono,  secondo  l'ordinamento,
 riconducibili.   In particolare, nel processo civile, il fatto che un
 difensore con procura di una parte si sia astenuto dal  comparire  in
 un'udienza a causa di un c.d. sciopero dei professionisti forensi non
 impedisce  certo  al giudice di emettere i provvedimenti che la legge
 stabilisce  doversi  emettere   per   effetto   di   quella   mancata
 comparizione".      D'altro  canto,  si  osserva  che  la  situazione
 verificatasi in questi mesi, ha esattamente  realizzato  il  pericolo
 paventato  proprio  nella  sentenza  n. 114/1994 di codesta onorevole
 Corte, ossia si e' verificata in concreto "la paralisi dell'esercizio
 della funzione giurisdizionale, con conseguente grave  compromissione
 di  fondamentali  principi  che  il costituente ha inteso affermare".
 Cio' e' avvenuto senza che quello stesso  legislatore  ordinario,  il
 quale,  come  ricordato  dalla stessa Corte nella medesima pronuncia,
 aveva avvertito cinque anni fa "la necessita' di dettare, proprio  in
 funzione  della  salvaguardia  di  beni  costituzionalmente tutelati,
 norme sul  diritto  di  sciopero  nei  servizi  pubblici  essenziali,
 ricomprendendo fra questi anche l'amministrazione della giustizia (v.
 art.  1  della  legge 12 giugno 1990, n. 146)", abbia ritenuto di far
 venir meno quella implausibile esenzione da  qualsivoglia  disciplina
 attualmente assicurata alle forme di protesta collettiva che, al pari
 dello  sciopero,  sono in grado di impedire il pieno esercizio di una
 delle  funzioni,  essenziali  e  sovrane,  dello  Stato  di  diritto.
 Insomma,  risulta  francamente  difficile  inquadrare nel sistema una
 forma di protesta che, in quanto gode del privilegio dell'assenza  di
 ogni  disciplina,  finisce  coll'elevarsi  al  rango  di  un  diritto
 assolutamente  incontrollabile  da   chicchessia,   e,   nei   fatti,
 sovraordinato   a   tutti   gli   altri   diritti,   inclusi   quelli
 costituzionalmente consacrati e tutelati e, percio' stesso,  limitati
 entro  precisi  confini.    Ancora,  nelle  varie occasioni in cui il
 giudice di legittimita' si e' occupato della questione  negli  ultimi
 tempi,  pare  essersi  in  genere  limitato  a  prendere  atto  della
 situazione di fatto,  senza  in  concreto  qualificare  la  protesta,
 accennando percio' solo a "sciopero ovvero astensione dalle udienze",
 senza  entrare  nel  dettaglio,  o piu' semplicemente qualificando la
 protesta come astensione. Sul punto pare utile ricordare, ex  multis,
 in penale - ossia, nel settore piu' direttamente interessato -, Cass.
 sezioni:  III,  26 agosto 1985, n.  7753; I, 27 maggio 1986, n. 1900;
 I, 30 luglio 1986, n. 2442; I, 8 agosto 1986, n. 2232; I, 18 novembre
 1986, n. 2565; I, 22 febbraio 1990, n.  2517;  feriale  17  settembre
 1990,  n.  2647;  I,  4  luglio 1991, n. 2849; I, 13 gennaio 1993, n.
 4651; VI, 22 luglio 1993, n. 7153; mentre in  civile:  Cass.  III,  2
 febbraio  1973,  n.  332;  III,  15 marzo 1976, n. 948; III, 27 marzo
 1992, n. 2755; II, 5 febbraio 1993, n. 1468; Lavoro 24 novembre 1993,
 n. 11582.   Dunque, la protesta in corso  non  puo',  ad  avviso  del
 giudicante, in alcun modo sussumersi entro l'istituto di cui all'art.
 40   della  Costituzione.    Nemmeno  l'art.  41  della  Costituzione
 (invocato da taluni aderenti  all'agitazione),  d'altro  canto,  pare
 attagliarsi  a  legittimare la protesta in esame, dacche' la liberta'
 dell'iniziativa economica  privata  incontra  pur  sempre  il  limite
 dell'utile  sociale,  e  comunque  le  e' preclusa la possibilita' di
 pregiudicare la liberta' e la dignita' umana, laddove appare evidente
 che, per forma, durata e  modalita',  la  protesta  in  corso  arreca
 gravissimo  pregiudizio  alle  ragioni  delle  parti sostanziali, non
 dovendosi  in  proposito  dimenticare  che  funzione   immediata   ed
 essenziale  del  processo  (civile)  e'  quella,  e  solo  quella, di
 regolare gli interessi delle parti litiganti.  Sgombrato il campo  da
 tali  profili,  deve  dunque  confermarsi quanto gia' precedentemente
 argomentato, ossia  che  quella  del  difensore  astenutosi  (di  non
 depositare  il  proprio  fascicolo)  sia  solo  una  libera scelta, e
 percio' stesso priva dei caratteri tipici del grave  impedimento  (il
 quale  deve  sempre  trovare fonte in un fatto non riconducibile alla
 volizione e  libera  determinazione  del  soggetto  che  lo  invoca).
 Volontaria   omissione,   dunque,   non  suscettiva  di  impedire  il
 verificarsi degli effetti che la  legge  fa  discendere  dal  mancato
 compimento  dell'attivita'  medesima.    Per  meglio  individuare gli
 effetti ricondotti dalla legge processuale vigente  a  quel  tipo  di
 inerzia,  occorre  applicare,  a parere del giudicante, la disciplina
 della  rinuncia  al  mandato  (a  difendere  tecnicamente  la   parte
 assistita),  posto  che  di  tale rinuncia, ancorche' temporanea e da
 particolari ragioni motivata, la condotta  omissiva  del  procuratore
 assume  tutti  i connotati obiettivi.  L'art. 85 c.p.c., al riguardo,
 prescrive che la rinuncia alla procura sia priva di effetto,  per  le
 altre   parti   del  processo  (almeno  sino  alla  sostituzione  del
 procuratore  rinunciante al mandato).  Tale norma non impone, dunque,
 al giudice di verificare che  la  parte  sostanziale,  nella  specie,
 Piffaretti Armando, abbia avuto preventiva e tempestiva notizia della
 astensione  del proprio procuratore (ossia, della temporanea rinuncia
 al mandato a costui  conferito),  e  quindi  che  essa  abbia  potuto
 ponderare  l'opportunita'  eventuale  di provvedere diversamente alla
 propria  difesa.    Da  cio'  discende,   nell'opinione   di   questo
 giudicante,  il  sospetto  di incostituzionalita' dell'art. 85 c.p.c.
 per contrasto cogli artt.  3, 24 e 41 della Costituzione, nella parte
 in cui, impedendo al giudice di verificare che la  parte  sostanziale
 nulla   eccepisca   sulla   libera   scelta   del  proprio  difensore
 astensionista,  o  comunque  consentendo   che   anche   l'astensione
 dall'espletamento  (nel corso dell'udienza) del mandato difensivo per
 libera scelta del procuratore resti inefficace  rispetto  alle  altre
 parti  costituite,  viola l'art. 3 della Costituzione (in quanto lede
 l'eguaglianza tra  cittadini  i  cui  procuratori  non  si  astengano
 dall'udienza  e  cittadini i cui procuratori si astengano, rimettendo
 sostanzialmente al procuratore il  grado  di  tutela  della  dignita'
 della parte); l'art. 24 della Costituzione (in quanto, pur essendo la
 difesa  nel  processo qualificata come diritto inviolabile di tutti i
 soggetti, la sua concreta realizzazione  viene  invece  rimessa  alla
 discrezionale  ed  incontrollabile scelta del procuratore ritualmente
 investito di mandato difensivo); l'art. 41 della Costituzione  (nella
 parte  in  cui consente che l'iniziativa economica del professionista
 intellettuale,  alla  cui  opera  le  parti  del   processo   debbono
 normalmente  ricorrere,  possa  svolgersi  in contrasto coll'utilita'
 sociale e colla  liberta'  e  dignita'  del  mandante).    Quanto  al
 parametro  costituzionale  rappresentato  dall'art.  3,  mette  conto
 individuare a quale  generale  canone  di  coerenza  dell'ordinamento
 (Corte  cost.  sent.  n.  204/1982),  da  intendersi  (oltre  che  in
 riferimento al profilo formale) anche sotto il  profilo  sostanziale,
 id  est  di  contenuto  della  legge,  appare collegata la denunciata
 violazione.  Reputa in proposito, il pretore che la norma  sospettata
 di  incostituzionalita' determini una disparita' di fatto che incide,
 e  gravemente,  sull'esercizio  di  un   diritto   costituzionalmente
 garantito (quello alla difesa e alla prova), rendendo cosi' rilevante
 (Corte   cost.   nn.   193/1973,   131/1979,   21/1961,  80/1966)  la
 incongruenza del sistema normativo che ne riverbera, sia pure solo in
 via di mero  fatto.    Tale  fattispecie,  dunque,  si  sottrae  alla
 valutazione  relazionale,  ossia non necessita dell'individuazione di
 altra norma ordinaria costituente il c.d. tertium genus comparationis
 (ex multis: Corte cost. nn. 618/1987 e 166/1982).   La disparita',  e
 la  irragionevolezza  che  se  ne inferisce, consiste invero nel mero
 fatto  dell'identico  trattamento  normativo  di   ipotesi   fattuali
 radicalmente differenti, come quelle innanzi illustrate.  Altrettanto
 e'  da  dirsi  per  la  diversa  possibilita'  per gli interessati (a
 seconda che i rispettivi procuratori aderiscano o non aderiscano alla
 protesta) di partecipare  all'esito  del  giudizio,  che  appunto  si
 svolgerebbe   in   condizioni   diseguali   senza   che  cio'  appaia
 giustificato da gravi motivi razionalmente inscrivibili nel  pubblico
 interesse  (Corte cost. sent. n. 2/1974).  Che' se, poi, si ritenesse
 insussistente  tale  irragionevole  disparita',  verrebbe  allora  in
 considerazione  la  sospetta  incostituzionalita' dell'art. 85 c.p.c.
 tout court nella parte in cui non riconosce efficacia  alla  rinuncia
 al  mandato  difensivo,  senza  tener  conto che di tale rinuncia sia
 stata data tempestiva notizia alla parte prima dell'udienza in cui la
 rinuncia medesima viene dichiarata.  In tal caso,  invero,  rimanendo
 esclusa,  per il giudice, la possibilita' di valutare se la parte sia
 stata posta per tempo in condizione di provvedere  alla  sostituzione
 del   rinunciante,   ed   indipendentemente   da   ogni   conseguenza
 contrattuale nei rapporti interni fra difensore e assistito,  risulta
 preclusa pure la possibilita' di disporre un rinvio, anche breve, per
 permettere  alla parte di esplicare in concreto le proprie difese. In
 tal caso, il tertium genus comparationis risulta essere la disciplina
 dettata per il caso di morte o impedimento del procuratore (art.  301
 c.p.c.),  norma  che,  per  converso, assicura comunque alla parte la
 possibilita' di tener fermo il processo sino  ad  ulteriore  impulso.
 Passando ad una breve disamina del parametro di cui all'art. 24 della
 Costituzione   si   osserva   solo  che,  pacificamente,  tale  norma
 fondamentale garantisce non solo  il  diritto  alla  difesa  tecnica,
 bensi'  pure  quello  all'autodifesa,  e quello alla prova. Orbene, a
 parere del giudicante,  la  esistenza  di  tali  principi  impone  di
 fondatamente  dubitare  della costituzionalita' di una norma che, pel
 semplice fatto di una protesta del difensore che in nulla  impinge  i
 rapporti  col  proprio  assistito, preclude alla parte di svolgere da
 se' quella  semplice  attivita'  che  si  risolve  nel  deposito  del
 fascicolo  contenente gli atti a suo tempo gia' redatti dal difensore
 tecnico, e i documenti sui quali si  fonda  la  prova  delle  proprie
 ragioni  (si  deve  qui  ricordare che, a sensi dell'art. 66 legge 22
 gennaio 1934, n. 36, agli avvocati e procuratori e' fatto divieto  di
 rifiutare  la  restituzione  degli  atti  della  causa, nonche' delle
 scritture ricevute dal cliente, financo in caso di mancato  pagamento
 degli  onorari, sicche' e' da affermare che la parte sarebbe comunque
 legittimata a rientrarne in possesso malgrado la dichiarata  adesione
 all'astensione  per  protesta  collettiva).    Infine, in ordine alla
 violazione dell'art. 41, secondo comma,  della  Costituzione,  se  e'
 vero che, nell'opinione generale, il limite del danno alla sicurezza,
 alla  liberta'  e  alla  dignita' umana va riferito specialmente alle
 situazioni soggettive dei  lavoratori  dipendenti  dell'imprenditore,
 nondimeno  appare chiaro che, per la testuale estensione della norma,
 essa  non  puo'  non  riverberare   anche   sui   rapporti   fra   il
 professionista  ed i soggetti che, per legge, della sua opera debbono
 indefettibilmente valersi per veder realizzato un altro loro  diritto
 costituzionalmente   proclamato.    Analoghe  considerazioni  debbono
 essere, da ultimo, svolte in riferimento all'art. 169, secondo comma,
 c.p.c.,   nella   parte    in    cui,    secondo    l'interpretazione
 (sopraricordata)   costante   del   giudice   di   legittimita',  che
 costituisce quindi il c.d. diritto vivente, vieta la fissazione di un
 termine, successivo all'udienza di  discussione,  per  consentire  il
 deposito  del  fascicolo  non  depositato  in tale circostanza, senza
 distinguere tra le diverse possibili  ragioni  del  mancato  deposito
 (ossia,  senza  distinguere fra l'atto di protesta collettiva attuato
 da uno soltanto dei procuratori delle parti costituite e  ogni  altro
 caso  di  mancato  deposito).    La  questione  della  illegittimita'
 costituzionale degli artt. 85 e 169,  secondo  comma,  c.p.c.  appare
 rilevante  ai  fini  del  decidere poiche', qualora codesta onorevole
 Corte decidesse nel senso della  illegittimita'  di  anche  una  sola
 delle due norme denunciate, il pretore dovrebbe assegnare, alla parte
 il  cui  procuratore  si  astenne,  un  termine  onde  consentirle di
 depositare il proprio fascicolo, ovvero di  effettuare  ogni  miglior
 valutazione  del caso.  Qualora invece la norma non venisse giudicata
 costituzionalmente illegittima,  il  pretore,  senza  fissare  alcuna
 altra udienza, si limiterebbe a decidere allo stato degli atti.